
Al giorno d’oggi la pubblicità è ricerca, intrattenimento, un insieme di immagini e suoni divertenti che ci attraggono e persuadono.
La promozione diventa un jingle che canticchiamo tutto il giorno, che ci martella fastidiosamente nella testa e ci costringe a digitare online il brand name del prodotto per riguardare lo spot e sentirne ancora il motivetto e canticchiare.
Ecco, le pubblicità sono quelle le melodie che ricordiamo a distanza di anni e che usiamo come orologio per indicare il tempo trascorso.
Allo stesso tempo la pubblicità è sinonimo di irritazione per via del suo carattere invasivo: interrompe il nostro film preferito proprio sul più bello, la canzone che vogliamo ascoltare, il video su YouTube che aspettavamo da tutta la giornata di vedere…
La pubblicità, però, è molto altro e affonda le sue radici in qualcosa di più profondo.
La pubblicità è prima di tutto comunicazione e per l’uomo la comunicazione è anche narrazione.
Ogni spot racconta una storia da divorare tutta in un fiato perché è riassunta nei suoi 60 secondi di vita.
Oppure, come è successo nel primo decennio degli anni Duemila, gli annunci possono presentare la narrazione divisa in puntate (come una serie TV), mandate in onda per aggiungere e presentare, di volta in volta, le caratteristiche del prodotto.

Le menti creative che progettano gli annunci, nascondono dei dettagli che alla prima visione dello spot nemmeno un occhio attento riesce a cogliere e, dunque, occorrerà guardarlo più volte per capirne il messaggio, il rimando, la narrazione, appunto.
È necessario che la pubblicità, per essere riconosciuta e successivamente condivisa o criticata, prenda spunto dall’immaginario comune.
Che quindi metta in scena sprazzi di vita quotidiana, frames cognitivi fatti di simboli, di blocchi precostituiti di senso vissuti da personaggi che rivestono una specifica funzione sociale e culturale.
Non di secondaria importanza è la questione relativa al fatto che i prodotti devono veicolare valori che sono condivisibili e attuali, in linea con l’epoca storica di riferimento.
Pertanto, possiamo affermare che la pubblicità è lo specchio della società e a lei si rivolge e da essa preleva un senso.
Per esempio, intorno agli anni Cinquanta, le pubblicità rappresentavano donne e uomini cuciti perfettamente nel tessuto sociale, ognuno con i propri compiti assegnati esclusivamente in base al sesso.
Non stupisce, perciò, assistere a scene in cui la donna si muove solamente tra i fornelli o è impegnata nella pulizia della casa, mentre l’uomo resta spaparanzato sul divano a guardare la TV, godendosi il tempo libero fuori.
Ma fortunatamente ogni società (non senza prima attraversare momenti ricchi di tensione e contrarietà) si adatta alle esigenze di parità, evolve e trasforma il nostro modo di pensare, di guardare e di approcciarci alla realtà che ci circonda.
Di conseguenza evolve anche la pubblicità, aggiungendo a quelli già esistenti, altri canali sui cui si mostra.

Richiamando alla mente la comunicazione, non possiamo non parlare di marketing (dal momento che l’una dipende dall’altra, l’una comprende l’altra) perché la comunicazione pubblicitaria è anche e soprattutto questo.
Con l’avvento del digitale la pubblicità si è spostata online.
Quando utilizziamo un qualsiasi motore di ricerca tra i primi risultati troviamo gli “annunci sponsorizzati”.
Mentre se stiamo visitando un sito web spesso appaiono dei banner che pubblicizzano qualche prodotto al quale, con molta probabilità siamo interessati.
Negli ultimi anni si sente sempre più spesso parlare dell’Advertising (meglio conosciuto come ADV): è un altro modo di fare pubblicità che segue le logiche della società in cui viviamo, il sentimento comune del voler essere sempre connessi.
Per questo motivo le aziende sanno a chi rivolgersi, dove trovare il loro target d’interesse: sui social network.
Per mezzo delle ADV, una volta studiate le statistiche e individuati gli interessi del target, si può rilanciare con gli annunci proponendo il messaggio giusto alla persona giusta.
L’obiettivo non è mutato, come in passato, si fa leva sulle emozioni, sugli istinti, generando coinvolgimento, curiosità che spinge il cliente a soddisfare il suo bisogno e l’azienda di controllare i rischi degli investimenti fatti.


